Gli inizi - Franco Zingaretti

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Le Opere

Lo spazio disumano dell’uomo tecnocrate
Una lettura attenta  della pittura di Zingaretti, che non si lasci fuorviare e divagare dalla struttura  del progetto emergente,  sui motivi d’ispirazione indica le linee d’una esperienza tutta  interiore di riflessione esistenziale e di analisi d’una condizione umana mortificata dal suo stesso sviluppo storico e culturale. Certamente è un discorso concepito dalla mente e quindi intessuto di forti spinte razionali, ma il suo percorso attraverso una figuratività in bilico tra la linea oggettiva e quella surreale-metafisica ne attenua  gradatamente la spinta oggettuale per recuperare il suo più proprio valore simbolico, con una collocazione a forte distanza degli elementi  descrittivi da quelli internazionali. Se già la descrizione contiene molti richiami poetici proprio della sua fisicità di formazione compositiva chiara nelle linee d’impaginazione e luminosa negli spazi cromatici, queste premesse vengono superate dal momento fantastico d’invenzione che immagina lo spazio, pur nella pesantezza di realtà corposa e statica come intreccio di piani disposti ritmicamente nel contrasto delle linee verticali e orizzontali. Il rigido e allo stesso tempo dinamicissimo sviluppo grafico, volutamente marcato, improvviso, a cui si accompagna un altrettanto rapido tessuto cromatico intensamente variato, se da un lato rivela appunto un magnifico saper costruire, dall’altro con un ricorso all’uso del silenzio per una spogliazione di ogni altro elemento che non sia quello dell’intreccio strutturale, allontana ogni distrazione della mente sì da collocare lo spettatore stesso in quel rarefatto mondo surreale, dove si sente altrettanto immerso nella solitudine a parlare con il proprio pensiero. Da qui nasce quella attrazione magnetica del mondo inventato da Zingaretti, che se per un verso reprime il sentirsi dell’uomo, per altro interiorizzandolo, lo dispone e lo adegua alla compressione e alla sofferenza per quella condizione di solitudine e di incomunicabilità che il progresso e la scienza, i miti della storia moderna hanno costruito come habitat dell’uomo tecnocrate. La poesia quindi veicola un messaggio e un richiamo intensamente umani, doloranti di inquietudine e di rimpianto per un mondo sommerso: una poesia questa di Zingaretti allora che non elude il pensiero ma attraverso il simbolo rievoca la dimensione umana che sopravvive come coscienza tradita dall’orgoglio, come perenne fluire d’un sentimento di amore alla natura contro ogni sopraffazione di pseudo creatività alternativa a quella originaria. Questo nucleo di verità germina ininterrottamente un fluire di immagini simboliche, che da a tutta la composizione un’attraente significazione formale, ma oltre la quale si costituisce quell’alto richiamo morale ad un ripensamento più umano, ad un progetto più spirituale delle aspirazioni, dell’avanzamento civile, della promozione del progresso e della storia. Le forme e lo spazio immerse nel silenzio gelido d’un cromatismo metallico e pungente sprigionano un a tensione surreale e metafisica non suggerita tanto o soltanto dagli elementi e dagli incastri strutturali e modulari ma soprattutto dall’assenza di ogni richiamo alla terra, perché tutto lo spazio è come rivestito e intonacato da una epidermide di cemento estraniante il sentimento e ogni contatto del vivente. Questo disconoscimento di una  condizione umana che disegna un orizzonte onirico sospeso nell’infinità fantastica, tende a perdere però la continuità spirituale dell’uomo e gioca uno squilibrio della ragione, cosicchè tutta la visione si pone contro la ragione e la vita. Il messaggio di questa pittura pertanto si colloca sulla linea drammatica dell’antagonismo tra l’uomo che aspira a conciliarsi con la natura e lo sviamento che la civiltà industriale opera contro questo insopprimibile ideale.
Stefano Trojani


 
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