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Carte, segni e (pochi) segreti
Ben equilibrato il lavoro di Zingaretti, che si apre a territori fatti di atmosfere rarefatte, le quali depositano su ogni angolo singolo frammento pensieri in sospensione. La sua pittura -
Valerio Dehò
Profondita’ perdute, per così dire inacessibili
Con Franco Zingaretti, le linee di confine conoscitivo vengono infrante per divenire pasta frammentata, cibo manipolato, nell’assoluta necessità di una corsa verso l’arcano, verso l’arcaico. E’ un gioco colto che non manca di quella teatralità già presente in Klee e che qui diviene perfetta combinazione di linee e spessori cromatici. La sua opera procede secondo schemi suggestivi, evocativi, sollecitativi proponendosi come totem di un rito apotropaico, come strumento di una religione misterica: recinto della storia, adombrato dalle palme scheggiate del deserto. E questo l’ostinato enigma dell’arte, la metafora nostalgica della sua antica e pur sempre nuova contesa col galoppare del tempo.
Roberto Vidali